Glossario della Chiamata di Marzo
Le parole della tradizione
Aspo
L’àspo è una specie di mulinella a quattro braccia disposte a croce che, appoggiata in senso orizzontale su un sostegno, viene fatta girare da una manovella laterale. Serviva per arrotolare le matasse di lana, canapa, seta o altri filati.
Balànsa
La balànsa che si teneva in casa per i piccoli commerci era una stadera formata da un unico piatto su cui si mette la merce, retto da tre catene; il piatto viene sostenuto in alto con un gancio e la misura del peso si legge sulla leva, su cui viene fatto scorrere il contrappeso. La balànsa ha in genere due portate che corrispondono a due scale incise sugli spigoli opposti del braccio, si può usare l’una o l’altra capovolgendo il braccio di leva.
Bigólo
Il bigólo è un arco di legno dalla curva accentuata, lungo circa un metro e mezzo, fornito alle due estremità di reciàre, ganci in ferro a cui si appendono i carichi. Retto sulle spalle, serve a portare due secchi, due ceste, o comunque due pesi di misura uguale, o quasi. E’ un attrezzo tipicamente veneto.
Bóra
La bóra è un grosso tronco di legno. Una volta abbattuto l’albero nel bosco, veniva segato sul posto, quindi le bóre, cioè i grossi tronchi, venivano trasportati in vari modi: portati a balansìn fino al sentiero più vicino, poi caricati sul nace o trasportati col boròsso.
Boròsso
Antico carro tipico della zona montana usato per trasportare tronchi, costituito da due treni di ruote, anteriore e posteriore, collegati tra loro con un’asse centrale, detto bétola. Usata anche la variante a due ruote, su cui si posizionavano tronchi la cui estremità strisciava in terra.
Bruschéto
E’ una spazzola per il bucato, formato da una base ellissoidale in legno, di una quindicina di centimetri, su cui sono fissati dei brevi e ruvidi ciuffi di scóa.
Bùcio
Detto in italiano zàngola, è un piccolo recipiente cilindrico fatto di doghe di legno, entro il quale scorre uno stantuffo provvisto di fori e di un lungo manico; il bucio è chiuso da un coperchio al centro del quale è fatto passare il manico. Serviva per lavorare la panna e ricavarne il burro.
Caliéra o Calgéra
La caliéra è un caliéro molto capace, usata per fare il formaggio, oppure per riscaldare grandi quanità d’acqua richieste per la lìssia, per broàre el mas-cio o per altro. La caliera per il formaggio si distingueva, oltre che per la sua particolare grandezza, anche perché era particolarmente profonda e aveva quindi una particolare forma a U allungata.
Caliéro
Grande paiolo in rame, che solitamente veniva usato per cuocere la polenta.
Ciòca
Campanaccio che viene messo al collo della mucca al pascolo, in modo da poter recuperare l’animale quando rischia di perdersi. L’inconfondibile suono delle ciòche accompagna da sempre la sfilata dei carri durante la Chiamata di Marzo.
Ciàspole
Le ciàspole o racchette da neve sono uno strumento che consente di spostarsi agevolmente a piedi sulla neve fresca poiché aumenta la superficie calpestata. Un tempo erano fatte di >corda intrecciata e legno, si indossavano direttamente e con facilità sulle scarpe, si differenziavano in sinistra e destra dalla fibbia di chiusura che doveva sempre trovarsi all'esterno e permettono di muoversi sul manto nevoso senza sprofondare eccessivamente e senza scivolare.
Córlo
Il córlo è un arcolaio a quattro braccia simile all’aspo, ma di forma tronco conica in modo da sorreggere matasse di diverse dimensioni, che girava su un asse verticale e serviva a disfare le matasse di lana, canapa, seta per avvolgere a mano il filo in gomitoli.
Dèrlo
Il dèro è una cesta in legno o vimini intrecciati a forma di tronco di cono rovesciato, aperta in alto, usata per trasportare fieno, foglie secche, frutta, legna o altro materiale. E’ munita di due cinghie di cuoio o corda oppure di spallacci di fusti di nocciolo per poter essere portata sulle spalle.
Fogàra
La fogàra è un recipiente in cotto o lamiera, fornito di un manico laterale, che contiene, sopra un fondo di ceneri spente, le brónse (braci) e che si mette dentro la mónega per riscaldare il letto.
Gavegnà
Un grande attrezzo a forma di ruota, di circa un metro e mezzo di diametro e dai bordi alti una quarantina di centimetri, formato da robusti rami, di solito di salice, intrecciati insieme molto radi a formare un solido telaio; al centro della base essa porta un ampio foro circolare. Solitamente è usata per portare fieno, erba, paglia, foglie secche con trasporto a spalla.
Leiàro
Attrezzo agricolo costruito artigianalmente, composto da un lungo e robusto bastone cui era collegato, tramite dei legacci resistenti, un bastone altrettanto robusto e nodoso di un metro circa, a mò di maglio. Il leiàro serviva a bater el formento, ovvero a trebbiare, praticamente a forza di braccia, il grano e altri cereali liberando la semente dalla pula e dalla paglia.
Masàngo
Grosso coltello con lama quadrangolare e dal lungo manico adoperato per squartare il maiale.
Mestèlo o Mestèla o Mastèla
Un’ampia bacinella usata per il bucato (lissia). Poteva essere di legno o, più recentemente in lamiera zincata. Il mestèlo di legno era costituito da doghe tenute insieme da due sercióni e fissate sul fondo al culo. In basso aveva due busi, chiusi dal cocón, uno sul fondo e uno su una doga, che servivano a far fuoriuscire l’acqua. In alto tre doghe sporgenti collocate ad angolo retto servivano da appoggio per la tòla da lìssia, la tavola di legno usata per lavare.
Mola e sasso molàro
Per affilare coltelli e forbici era indispensabile la mola, ricavata da sasso molàro, una pietra arenaria, ricca di quarzo. Alla pietra veniva data forma rotonda con bordo piatto o arcuato, al centro era fatto passare un ferro a forma di manovella, a volte collegata a un pedale, che serviva a far girare la mola. Essa veniva quindi montata su un cavalletto a quattro gambe, detto càvra, su cui era applicato un recipiente pieno d’acqua dove pescava la mola durante la rotazione per affilare utensili taglienti. A volte anziché usare la vaschetta, la mola veniva bagnata facendo colare l’acqua da un barattolo sovrapposto.
Mónega o mùnega
Lo strumento di gran lunga più usato per scaldare il letto d’inverno era la mónega, un attrezzo dalla caratteristica forma di navicella, un traliccio di legno lungo poco più di un metro che serve a tenere alzate le coperte e a contenere la fogàra in modo da impedire che il calore delle brónse (braci) surriscaldi o bruci lenzuola e coperte.
Mulinèla o molinèla
La lana veniva filata in casa con la mulinèla o corléta (filatoio), un attrezzo formato da una grossa ruota azionata a pedale che fa torcere e insieme avvolgere intorno a un fuso la lana che via via la donna predispone assottigliandone la ciocca.
Mussa
Impalcatura di legno posta del camino, fornita di un robusto palo orizzontale a cui veniva appesa la caliera per il formaggio, con uno snodo che permetteva facilmente di metterla sul fuoco o toglierla a seconda della fase di lavorazione del latte.
Nace
Il nace è una grande slitta di legno usata per il trasporto di carichi pesanti, solitamente tronchi di legno (detti bóre) o fieno. E’ formata da due lunghi scivoli di legno, rivestiti inferiormente da lamine di ferro dette ràje, e che anteriormente terminano con estremità a forma ricurva, i branchi, adatte alla presa durante il traino. Il nace veniva per lo più tirato a mano su sentieri, terreni in discesa o su pendio innevato.
Panàro
Il panàro è fatto di tavole di legno tenute assieme da traversi, quello da polenta è tipicamente di forma rotonda e su un lato porta un manico con un foro al centro, al quale veniva fissato il filo di refe usato per tagliare le fette di polenta.
Pitàro
Il termine pitàro indica il vaso da notte, un contenitore a forma di ciotola, spesso con un manico, conservato nella camera da letto, sotto il letto oppure in un comodino o in un armadietto, e utilizzato generalmente per i bisogni per la notte. Con la diffusione dei servizi igienici nelle case, l’uso del pitàro è andato via via scomparendo.
Recùbele o Rekùbele
E’ uno strumento antichissimo, il cui nome deriva da reh che significa capro e kube, cioè recipiente dove si fa il burro. Consiste in un contenitore cilindrico senza fondi, simile al bucio, ad un’estremità del quale un diaframma di pelle di capra viene posto in vibrazione mediante una piccola corda impregnata di caràsa (resina), fissata nella parte interna. Chi lo usa deve avere anch’egli le mani unte di tale materiale per poter, con un po’ di maestria, tirare lo spago e produrre la vibrazione caratteristica. Il suono del recùbele, cavernoso e assordante, veniva udito anche molto lontano e pare che questo strumento venisse un tempo usato dai pastori per comunicare a distanza.
Sécia
Il secchio per il latte usato in montagna è fatto di doghe di legno tenute insieme da sue sérci (cerchi), ha la caratteristica forma tronco-conica con il fondo più ampio dell’imboccatura, per un appoggio più stabile su terreni irregolari, in modo da ridurre il rischio di un accidentale spandimento di latte.
Sesolòto
Falcetto per mietere il formento (frumento), più arcuato e stretto di un normale falcetto, fornito di un manico di legno.
Sèssola
Piccola pala di legno dal contenitore semicilindrico e dal corto manico, anch’esso in legno, usata soprattutto per la farina bianca o gialla.
Sgàlmare o Sgàmbare
Le sgalmare sono calzature dalla tomaia in cuoio e dalla grossa suola rigida in legno. Le suole venivano spesso rinforzate con le bròche, i chiodi corti dalla testa larga, per ridurne l’usura. Erano molto rumorose per cui si diceva di uno che faceva fracasso che sgalmarava o che era uno sgalmaron.
Snàtara o Snàtera
La snàtara, detta anche ranèla o ràcola, è un attrezzo in legno usato dai ragazzi. Un manico, con in testa una ruota dentata, fa girare un’appendice laterale, una parte della quale, essendo appoggiata sull’ingranaggio, scatta e fa rumore ogni volta che incontra un dente, producendo un fragoroso baccano.
Snatarón
Quando le campane erano costrette al silenzio dal giovedì Santo al sabato santo, la loro voce era sostituita, nel campanile, dal snataron, una grande cassa di legno in cui una ruota dentata veniva fatta girare tramite una manovella, producendo un rumore assordante.
Tamìso
Setaccio rotondo di legno, dal fondo intessuto di filo di seta e talora di rame.
Tòla da lavàre
I panni sporchi erano lavati sulla tòla da lavàre, una semplice tavola con un bordo su tre lati, ad un angolo, uno spazio per il sapone, che si adoperava appoggiata sul mestèlo. Su questo ripiano la donna lavorava de gùmbio (di gomito) col bruschéto.
Tòrcio bigolàro
Strumento indispensabile per fare i bìgoli: preparata la pasta, la si introduce, dopo averle dato la forma di un piccolo salame, nel tòrcio e, girando i manici si fa abbassate la testa dell’attrezzo, che così comprime la pasta, facendo fuoriuscire dallo stampo i bìgoli. In basso i bìgoli finiscono in una ciotolina e vengono ogni tanto spolverati di farina gialla perché non si attacchino fra loro. Ottenuta una lunghezza di 20-30 cm, i bìgoli vengono tagliati e stesi sulla tòla ad asciugare fino al momento in cui verranno gettati in pentola. Per essere adoperato il tòrcio viene fissato alla tavola della cucina oppure, più spesso, a un cavalletto: la càvra.